Memoria e letteratura: le complicità taciute
: Sciacovelli Antonio
: Tiziana D'Amico, Cinzia Franchi, Antonio Sciacovelli
: Szombathely
: 2021
: Percorsi e forme della memoria culturale: la Shoah nell'Europa centro-orientale
: Sangue e oro
: IV
: IV
: 978-615-5753-81-7
La cosiddetta ”letteratura dell’Olocausto”, di cui lo scrittore ungherese Imre Kertész temeva una deformante spettacolarizzazione, riconosciuta nella capacità di Hollywood di sfruttarne le potenzialità con film quali La lista di Schindler, è oggigiorno, a quasi ottant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, un fenomeno complesso che da un lato genera continuamente nuove opere (memoriali, romanzi-verità, romanzi-inchiesta, riscritture da parte dei discendenti dei sopravvissuti, etc. etc.), dall’altro stimola la critica letteraria all’approfondimento lungo varie direttive (forse non ultima la prospettiva del ”trauma”) e alla discussione delle pratiche di ”adattamento” (nel cinema, nel fumetto, nelle performance trasversali a diverse arti).
Un elemento di grande turbamento (e interesse, non nascondiamolo!), a cui faceva già riferimento Giacomo De Benedetti in 16 ottobre 1943 (scritto nell’autunno del 1944, insieme a Otto ebrei), è quello della ingenuità colpevole, della fiducia tradita, dell’inconsapevolezza del tradimento che attenta alla persona, alla sua famiglia, a tutta la sua comunità, partendo dalle sfere più vicine: gli amici, i conoscenti, i vicini di casa. La banalità del male (Arendt), solo in parte contrastata dalla banalità del bene (Deaglio), avrebbe quindi trovato un sostegno puntuale, fedele e ”appassionato” in tutti coloro che, vicini agli obiettivi della ”caccia all’uomo” (Morpurgo), avrebbero favorito le dinamiche dell’organizzazione della ”soluzione finale”, per poi, in molti casi, sottrarsi alle responsabilità, dimenticare il passato, tornare alla ”normalità”. Questi meccanismi sono alla base di alcune opere letterarie, nate in diversi contesti culturali e linguistici, che vorremmo presentare per delineare la rappresentazione letteraria del ”familiare nido di provincia che cova le uova di mostri” (Magris).
Da quando Spielberg e il capitale americano hanno scoperto l’Olocausto, dobbiamo prepararci alla possibilità che la storia culturale mostruosa dello sterminio degli ebrei si perda nella fitta nebbia delle storie romantiche sugli indiani pellerossa. (Da quando Spielberg ha conquistato il podio di Auschwitz, bisognerebbe pensare a come custodire, versus Spielberg, l’effettivo significato dell’Olocausto, la sua effettiva memoria. Tra Spielberg e coloro che negano, “relativizzano” l’Olocausto, la differenza consiste semplicemente nel fatto che questi ultimi vengono portati davanti ai tribunali, mentre Spielberg riesce a ricavare dall’Olocausto enormi profitti.)